Progetti

Manzoni Bianco “Madre” – Azienda Cescon Italo

Un vino che, in pochi anni, ha avuto numerosi riconoscimenti internazionali ed è diventato uno tra i punti di riferimento per la qualità e la longevità dei vini bianchi italiani. Un successo reso possibile grazie ad un profondo lavoro di ricerca iniziato 12 anni fa, in un vecchio vigneto di Manzoni Bianco di proprietà dell'azienda Italo Cescon.

Consulenza enologicaConsulenza viticolaFormazioneRicerca e sviluppo

Obbiettivo

Quando circa 15 anni fa la Famiglia Cescon ci interpellò per una consulenza viticola ed enologica, rimanemmo piacevolmente sorpresi dalla qualità del loro Manzoni Bianco che maturava in vasca. Pur essendo una varietà abbastanza diffusa nella zona, la DOC Piave, le aziende l’hanno sempre utilizzata come vino giovane perché, una volta imbottigliato, aveva una grande propensione ad evolversi e a perdere quella finezza e qualità che si riscontrava prima della filtrazione in vasca. Da qui l’obiettivo per noi di studiare quel sottile equilibrio individuando non solo le componenti peculiari del vino ma correlandole a una gestione di campagna ed enologica che fosse in grado di esaltare e far durare quelle peculiarità per decenni in bottiglia.

Progetto

L’approccio è stato inizialmente quello di studiare nei nostri laboratori di ricerca l’evoluzione del vino. Grazie anche a questo vino abbiamo potuto affinare metodiche interne per testare la suscettibilità dei vini ad ossidare. Una di queste è il TDO (test dinamico di ossidabilità) che a differenza del pom-test o anche rispetto a tecniche di più recente introduzione come quelle voltametriche, ha il vantaggio di studiare la reale curva di evoluzione dei vini. Grazie a questo abbiamo capito e misurato come la stabilizzazione proteica del Manzoni Bianco portava, più che in qualsiasi altro vino, a ridurre enormemente le barriere naturali a frazione tiolica e polifenolica di cui era dotato a fine fermentazione. Ne consegue che il vino è stato da subito imbottigliato senza stabilizzazione e filtrazione, anche se in maniera molto controllata e consapevole, specie nei rischi di ciò che avrebbe potuto comportare questa scelta da un punto di vista microbiologico. Parallelamente sono stati studiati gli effetti di alcune pratiche agronomiche, in particolare nella gestione della parte verde della pianta, sulla composizione aromatica e polifenolica dei vini. La successiva conversione in Bio, attraverso protocolli e monitoraggi specifici, non ha solo permesso di dare un contributo sostanziale all’ambiente, ma ci ha anche dato la possibilità di ottenere uve più sane e mosti più fermentiscibili anche con lieviti indigeni.

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